Oh, dissi lui, non sei tu Oderisi,
L’ onor d’ Agobbio, e l’ onor di quell’ arte
Ch’ alluminare è chiamata in Parisi?
Frate, diss’ egli, più ridon le carte,
Che pennelleggia Franco Bolognese:
L’ onor è tutto or suo, e mio in parte
Ben no sare’ io stato sì cortese
Mentre ch’ io vissi, per lo gran disio
Dell’ eccellenze, ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga ’l fio:
Ed ancor non sarei qui, se non fosse,
Che possendo pèccar, mi volsi A Dio.
O vanagloria dell’ umane posse,
Com’ poco verde su la cime dura,
Se non è giunta dall’ etati grosse!
Credette Cimabue nella pintura
Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
Sì che la fama di colui oscura.
Così ha tolto l’ uno all’ altro Guido
La gloria della lingua: e forse è nato
Chi l’ uno e l’ altro caccerà di nido.
Non è il mondan romore altro ch’ un fiato
Di vento, ch’ or vìen quinci ed or vien quindi,
E muta nome, þcrchè muta lato.
Page:Sonnets and Ballate of Guido Cavalcanti.djvu/14
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